Poker d'assi Made in Lancia

Segno particolare: ingegnereGianni Lancia, Carlo Pesenti, Pier Ugo Gobbato, Vittorio Ghidella. Quattro fuoriclasse che hanno tenuta accesa la fiamma del lancismo.​

Premessa

Tecnicamente parlando i 40 anni succeduti alla cessione del pacchetto di maggioranza della Famiglia Lancia (nel 1956), non sono stati affatto male. Immagine di marca e posizionamento sul mercato sono rimaste pressoché invariate, anche se al netto delle fisiologiche mutazioni dell’automotive internazionale e delle inevitabili concessioni alle economie di scala in seno al Gruppo Fiat. Proviamo a vedere perché, analizzando i lasciti tecnici dei “nostri” 4 assi. Quattro manager diversi tra loro ma uguali. Con un unico, comune, segno particolare: essere ingegneri ed aver contribuito fortemente alla creazione del mito senza soluzione di continuità.
Vedremo poi quale sia stata, a nostro parere, la “loro” Lancia più significativa, anche se dobbiamo confessare di aver faticosamente eliminato la doppia preferenza che ci eravamo inizialmente proposti (stradale e corsa) e che ciascuno di loro è riuscito ad esprimere. Abbiamo provato a concentraci su un unico modello, quello più rappresentativo per la Lancia in quel dato momento storico, vedendo che ciò che si stava formando era una indissolubile ed irripetibile alchimia che ha attraversato indenne 4 decenni. Chapeau a questi 4 assi.
 
Gianluca Ruiu. Redattore SaveLancia

Gianni Lancia (1924­-2014).

L’Ingegnere Giovanni Lancia, noto Gianni, è deceduto il 30 Giugno 2014 lontano dai riflettori, lasciando un grande vuoto nel cuore dei lancisti. La notizia ha riempito per qualche giorno alcune pagine delle più attente riviste di settore, facendolo conoscere ad una più estesa schiera di appassionati. Al meno preparato e forse più giovane lettore che ancora non sapesse chi è, diciamo che se si è arrivati alla Delta ed ai suoi 6 titoli consecutivi nel WRC, il merito è suo. L’impronta vincente della berlinetta classico/sportiva, generalmente accostata ad una Lancia, è nata durante gli anni della sua gestione.
Appena laureato, trova naturale sbocco in Azienda e nel 1947 entra come condirettore accanto ad Arturo Lancia cugino di Vincenzo. In seguito alla prematura scomparsa di Arturo, nel 1948 Gianni lo sostituisce per la carica di Direttore Generale, coronando il sogno di maestranze ed impiegati ansiosi di vedere al timone il figlio del fondatore, tanto più che la somiglianza fisica col padre era impressionante.
Grazie alla laurea in ingegneria meccanica conseguita all’Università di Pisa, gli viene riconosciuto un taglio professionale ed un bagaglio tecnico superiore al genitore, il quale ha pagato il pegno di essere nato e vissuto in un periodo di empirismo tecnico come naturale approccio alla nascente industria dell’auto.
Ciò non toglie e non toglierà nulla al genio di Vincenzo Lancia che anzi, riproporzionato davanti al suo diploma di ragioniere, lo fa ergere ancor di più a figura gigantesca. Talmente gigantesca che Gianni, suo unico figlio maschio, nasce e cresce con il peso di tanta eredità ed aspettativa, e tenta il colpo da maestro: l’avventura nel pericoloso ed oneroso mondo delle corse per vedere le sue auto vincere, così da ottenerne un ritorno di immagine. Neppure il padre ha osato tanto, nonostante l’alone di eccelso pilota internazionale dei primi del secolo grazie alle vittorie su Fiat. E neppure la mamma Adele, al vertice aziendale dopo la morte del marito, aveva mai interrotto quella prudente e saggia linea di condotta. Ma noi non vogliamo essere severi nel giudizio su Gianni Lancia come, al contrario, lo son stati sia i successivi proprietari quanto la gran parte della stampa dell’epoca, fino a farlo cadere nell’oblio. A maggior ragione quando, mancando testimonianze dirette, non sono ancora chiari i retroscena, le motivazioni e le spinte familiari, che lo hanno portato, nel 1956, a cedere il suo pacchetto azionario a Carlo Pesenti. Tanto più che gli eventi collaterali non hanno aiutato a dissipare la nebbia. Uno fra tutti il regalo ad Enzo Ferrari dell’intero materiale sportivo della Squadra Corse, allora valutato in circa mezzo miliardo di lire, con al seguito il Direttore Tecnico Vittorio Jano.
Invero, per anni, le letture di quegli eventi hanno romanzato sull’ ipotesi che agenti della CIA presso l’Ambasciata USA a Roma, avessero comunicato che Gianni Lancia fosse iscritto al PCI torinese; notizia questa, tale da creare nei suoi confronti un certo clima di ostilità teso a rallentare o ridurre i finanziamenti dell’ E.R.P. (European Recovery Program) deciso dal Congresso degli Stati Uniti per la ricostruzione post-bellica. In realtà nessuna conferma è mai arrivata dalla lettura degli elenchi cittadini del Partito, né ha trovato riscontro l’altra “ipotesi di complotto” secondo cui la Lancia fosse stata oggetto di tagli ai finanziamenti E.R.P a partire dal 1948 anche in funzione di tale presunto tesseramento. In realtà infatti, tre delle quattro istanze del programma E.R.P andarono a buon fine mentre l’ultima fu bloccata anzitempo (non solo alla Lancia ma a tutte le industrie italiane) a causa di congiunture internazionali sfavorevoli come la Guerra di Corea del 1950. Trova invece conferma l’ottima performance aziendale visto che nel 1951, con 2,6 miliardi di utile, viene raddoppiato quello dell’anno precedente. Questo nonostante le difficoltà dell’immediato dopoguerra derivanti principalmente dalla ricostruzione infrastrutturale, dall’ obbligata riconversione della produzione da militare a civile (altre Aziende non furono così efficaci) ed infine dalla saturazione del mercato con i veicoli militari usati (parco ARAR), che di fatto limitò il “nuovo” circolante.
Plausibile che sulla débâcle aziendale giocarono un ruolo sia l’inesperienza in materie economiche che la giovane età di Gianni, ma anche il fatto che la madre Presidente, ex-segreteria di Vincenzo Lancia, fosse anche lei a digiuno di certe dinamiche. Lo zio Arturo, suo predecessore nella carica, era poco “imprenditore” e se a tutto ciò aggiungiamo che tutti gli spazi di manovra erano occupati dal duo Agnelli-Valletta, deduciamo che muoversi con disinvoltura non fu affatto facile.
E’ vero, l’impegno nelle corse da lui caldeggiato ebbe riflessi sulla produzione in serie. Lo sforzo economico e la distrazione dei migliori tecnici, da uffici e stabilimento fino alla Squadra Corse, fu cospicua e sfiancante. Nel ‘53 si sottovalutò il “problema” dei debolucci paraurti in alluminio dell’Appia 1^ serie (accettabile sulla concorrenza ma non su una Lancia) ma in quel momento storico Gianni stava guardando oltre. E’ indubbio, quella delle competizioni fu un’ottima occasione per rilanciare l’azienda nel mondo, ma non sufficiente. E vide bene l’ingegnere, tanto che altri dopo di lui (Ferrari in primis) raccolsero immeritatamente i frutti. Per Gianni Lancia sarebbe stato un ottimo risultato di marketing e la famiglia ed i detrattori avrebbero avuto poco terreno fertile per recriminare. Ma gli eventi, anche sfortunati (Ascari per esempio …), imboccarono un tunnel nero.
Ciò non toglie nulla alla lungimirante visione del nostro primo “asso” del poker, anche se si pone davanti a questo imbarazzante contesto in cui si trovava la Lancia, ovvero di inadeguata capacità produttiva e di palese difficoltà nel “saltare” dall’artigianato all’industria. Ma noi dobbiamo dirlo: non si è più vista per anni, una F1 capace di guadagnare la 1^ griglia di partenza dalle prime gare di campionato, né mai nelle 5 edizioni di una corsa, ben tre vetture della stessa marca all’arrivo (Carrera Panamericana del 1953). In quel prolifico e fantastico biennio sportivo, Gianni Lancia si guardava da pari grado con Enzo Ferrari e Neubauer della Mercedes, senza alcun timore reverenziale. Anzi.
Detto ciò, eccoci a quella che a parer nostro rappresenta il suo testamento tecnico: l’Aurelia. La scintilla del furore di Gianni per le corse. Quella che, messa al banco prova alla fine della Mille Miglia del 1951 dove arrivò 2^ assoluta, fece registrare valori di potenza addirittura superiori alla partenza. La Mille Miglia fu per lei poco più che un ottimo rodaggio ! E l’Aurelia è fantastica in tutte le sue declinazioni, ma per il nostro “ragionamento” la preferenza cade sulla B20 GT 2500 perché funge da modello apripista della nicchia “Gran Turismo” così come deve essere ancora oggi correttamente intesa: una vettura non eccessivamente costosa, utilizzabile tutti i giorni, sufficientemente capiente, estremamente veloce e sicura, tanto da arrivare con modifiche minime a vincere gare di durata di respiro internazionale (una per tutte il Rally di Montecarlo del 1954). E lo diciamo perché sia chiaro: tali non lo erano né la Ferrari, né la Maserati. Lo sarebbero diventate almeno dieci anni dopo.
Oggi, viste le attuali quotazioni di mercato, possiamo affermare che l’operato di Gianni Lancia non fu affatto improduttivo e di fugace ricordo. L’Aurelia in versione Spider B24 non solo batte cifre altissime nei negozi di compravendita, ma è universalmente riconosciuta come una delle auto più belle di tutti i tempi.

Carlo Pesenti (1907­-1984).

L’Ingegnere bergamasco, divenne Vice Presidente della Lancia nel 1958 quando, acquisendo l’intero pacchetto azionario della Lancia & C. Fabbrica Automobili S.p.a, estromise i soci di minoranza della Società (le sorelle ed alcuni familiari ed amici di Gianni Lancia, primo a cedere la sua quota nel 1956).
Il fatto che Carlo Pesenti sedesse nel Consiglio di Amministrazione della Lancia non per conto della Italmobiliare (società di famiglia), ma perché aveva compiuto l’acquisto della fabbrica torinese in prima persona, sarebbe già caratterizzante dell’uomo. Perfetta a tal proposito la ricostruzione della storia aziendale, raccontata e basata su documentazione d’archivio, fatta dal Prof. Franco Amatori nel suo Volume del 1992 “Storia della Lancia, Impresa, Tecnologia e Mercati. 1906­-1969”. Emerge così, che a far da ponte tra Gianni Lancia che voleva liberarsi delle sue quote azionarie e Carlo Pesenti, fu l’A.D della Lancia, l’Avv. Aldo Panigadi in stretti rapporti professionali con ambedue. Panigadi riusci a fare leva sulla passione che Pesenti aveva per le automobili e gli aerei ed il costo totale dell’operazione si attestò sui circa 10 miliardi di lire. 
Vista dall’esterno, con i nostri occhi appassionati, l’acquisto sembra quello che poi fu: una scelta dettata più dal cuore che dalla ragione. Chi lo conosce dice che la Lancia “...quella è stata la sua vera passione”. Ma Pesenti, anche se presente in molteplici campi della finanza italiana, era uno nuovo del settore e come tutti i “giovani” dotato di quella grinta che diede leggerezza al gesto. Ma stava entrando suo malgrado ed a pieno titolo, nella gabbia dei leoni.
Dissero taluni, che esibire la Lancia nei salotti buoni, fosse per lui come chi espone la piuma di fagiano sul capello senza essere mai andato a caccia di fagiani. Ce la mise davvero tutta e non è affatto fuoriluogo inserire nel nostro “poker d’assi” la sua figura. Non solo perchè identificò almeno due grandi obiettivi: il primo la necessità di definire e presidiare la posizione di nicchia nella fascia alta del mercato (oggi diremmo premium), ed il secondo, grazie alle “spalle robuste”, garantire gli investimenti infrstrutturali per elevare ad un livello più industriale una produzione d’auto ancora troppo artigianale.
Riguardo al primo obiettivo è acclarato che Pesenti strinse un patto con Valletta, una sorta di gentlemen’s agreement, talchè tolto l’unico punto di contatto nella fascia 1100 cc, la Fiat si sarebbe impegnata a non sconfinare verso l’alto e la Lancia verso il basso. Ora, mentre il secondo obbiettivo lo raggiunse avviando e portando a compimento lo straordinario stabilimento di Chivasso e ammodernando gli altri due (Torino e Bolzano), il primo obiettivo, l’accordo di non belligeranza con la Fiat, non fu raggiunto perché da questa non onorato. L’immissione sul mercato dei modelli 1300­-1500-­1800­-2300­-124­-125­-130 con uscite consecutive, furono un chiaro segnale di “attacco” unilaterale.Tutto ciò, unito ad un periodo recessivo di metà anni 60 che orientò gli italiani sulle piccole cilindrate, portò la Società al default ed alla successiva decisione di cedere, tra l’ottobre ed il novembre 1969, l’intero pacchetto azionario ad Agnelli. Si racconta, che l’Avvocato gli avesse fatto fare un paio d’ore di anticamera. Pesenti tornò a Bergamo assolutamente furioso e deciso a fare la guerra a quelli di Torino. Questa burrascosa cessione, fu peraltro motivo di raffreddamento dei rapporti tra Pesenti e l’Avvocato anche se poi Agnelli dichiarò di voler acquistare la Lancia non perché questo avrebbe rafforzato il gruppo, ma per senso del “dovere” nei confronti della città (ricordiamo che la FIAT ebbe la Lancia per la somma simbolica di una lira per azione e l’assunzione dei debiti). Ma torniamo alla parte che più ci interessa, quella tecnica.
La gestione Pesenti va ricordata, oltre che per l’abbandono di una certa cifra stilistica di cui la più evidente era lo scudo Lancia a sviluppo verticale, per l’introduzione, prima in Italia, della trazione anteriore. L’Ing. Fessia, Direttore Tecnico nominato dalla nuova proprietà, godeva di una stima talmente sconfinata da parte dei vertici, da riuscire ad imporre il suo credo tecnico all’interno dell’Azienda. Ma mentre ci riuscì totalmente con il boxer Flavia (suo antico amore dai tempi della Cemsa Caproni), più “resistenza” incontrò con la Fulvia per la quale, un manipolo di irriducibili della vecchia scuola Lancia, lo convinse della bontà della soluzione con cilindri a V stretto.
Inutile dire che il testamento tecnico della gestione di Carlo Pesenti, anche se apparentemente potrebbe sembrare la Flavia , è per noi la Fulvia nella versione che ha dato alla Lancia non solo la piena soddisfazione commerciale ma anche e soprattutto sportiva a livello internazionale: la coupè 1600 HF.
Se pensiamo che lo sviluppo di questa motorizzazione, per non urtare la ritrosia per i motori performanti da parte del Direttore Tecnico, ha avuto origine partendo dalla cubatura inferiore ed utilizzando i ritagli di tempo, le domeniche ed il tecnigrafo di casa Zaccone Mina, motorista in Lancia dal 1932, capiamo il livello di sensibilità umana ed attaccamento all’azienda di allora.

Pier Ugo Gobbato (1918­-2008).

La mia indipendenza non era piaciuta molto, non perché io ne avessi approfittato, anzi,stavo guidando il rilancio di una fabbrica e avevo vinto alcuni titoli mondiali con conseguenze positive per la marca. Però, mi vidi recapitare una lettera in bianco da firmare: doveva essere la mia lettera di dimissioni. Non ricordo da chi provenisse, se dal Consiglio di Amministrazione o da chi altro. Io non la firmai e risposi che non avevo alcuna intenzione di dimettermi. Fatto sta che dal momento in cui restituii la lettera non firmata, fui considerato dimissionario e, nel gennaio 1976, fui sollevato dall’incarico dal vertice della Fiat Automobili. Mi ritirai molto amareggiato e decisi che non ne avrei voluto più sapere di automobili.”
Orbene, l’Ingegner Pier Ugo Gobbato entra in Lancia come Vice­Direttore Generale nell’autunno 1969, su mandato della Fiat di cui era già dipendente, avendo partecipato alla valutazione degli stabilimenti da acquisire (Chivasso, Torino, Bolzano). Nel 1970 diviene Direttore Generaledella Lancia & C. Fabbrica Automobili S.p.a. con piena libertà d’azione. Pier Ugo Gobbato era figlio d’arte e, come Gianni Lancia, anche lui ha vissuto con un padre immerso nel bellissimo mondo dell’auto. Parlando di Ugo Gobbato papà diciamo solo che fu lo storico ed indimenticato Presidente dell’Alfa Romeo in epoca IRI e per oltre un decennio, dal 1933 al 1945, prima di perire sotto il fuoco vigliacco di chi gli aveva attribuito un patentino politico per il solo fatto di essere un manager dell’IRI (Istituto costituito in quegli anni da Mussolini).
Al momento del suo ingresso in Lancia l’Ingegnere Gobbato trova una “…situazione drammatica: calo vertiginoso delle vendite, vetture buone nell’impostazione, ma ormai vecchie, nessun progetto per il futuro sia in campo automobilistico che per i veicoli industriali. Insomma, i cassetti erano vuoti. Unici valori erano la grande capacità e il grande attaccamento dei dipendenti, impiegati ed operai, all’azienda, la gran voglia di fare, anche se l’opportunità veniva offerta dalla concorrente storica presente nella stessa città. Non correva molto buon sangue fra le due aziende, però l’avvento della Fiat in Lancia era vissuto come il solo salvagente efficace per l’azienda.” Il primo progetto fu pertanto quello di una middle­class sostituta della Flavia.
Il progetto Y1, più commercialmente noto come Beta, è stato un modello intelligente nella sua trasversalità, dato che ha soddisfatto l’urgenza di un prodotto nuovo per fare cassa ponendosi a cavallo delle due progenitrici Fulvia e Flavia, ed andando a coprire fasce di cilindrata dai 1300 ai 2000 cc (successivamente furono Delta/Prisma a coprire più compiutamente il vuoto della Fulvia). Ma tanta era la forza, l’energia e la visione in termini di marketing, che in parallelo Gobbato stava ragionando come sostituire la Fulvia coupè nei campi di gara, tale da mantenere ed anzi consolidare l’immagine vincente. Così, a rendere concreta la validità linea manageriale, ci pensò il progetto “Stratos”, sfruttando la provvidenziale e geniale proposta di Nuccio Bertone al Salone di Torino del 1970.
Fu la dreamcar ad accendere la scintilla, ed in Gobbato vi trovò mente fertile. Mente di un uomo che aveva pienamente compreso il ruolo delle corse e della ribalta mediatica: “ Se fossimo riusciti a fare qualcosa, attirando l’attenzione visiva ed ottenendo dei risultati, per noi sarebbe stato molto importante.” Uomo svelto Gobbato, ex aviatore, sportivo e di carattere.
Dice ancora nella sua belllissima intervista del 2008 raccolta dall’AISA nel volume citato in calce, che “….malgrado molti tentativi di ingerenza da parte dei quadri superiori della Fiat, mi lasciarono fare tutto quello che volevo. Comunque io dissi a Bertone che la macchina che cercavamo era questa: gli avremmo dato il motore da montare in posizione posteriore e lui avrebbe dovuto fare la macchina che ci serviva. Bertone, con grande abilità, realizzò la Stratos con il motore della Dino, una macchina di cui mi innamorai subito e decisi di farla così. Però, i vertici della Fiat, guidati da Umberto Agnelli (che era anche Presidente della Lancia) rappresentati da Gioia e Nicola Tufarelli, non erano d’accordo. Andai dall’Avvocato e gli dissi che se c’era qualcosa che funzionava alla Lancia era il Reparto Corse e che sarebbe stato un delitto buttarlo via dal momento che con quella macchina eravamo in condizione di vincere il Campionato Mondiale, se la Ferrari ci avesse dato i motori 6 cilindri della Dino. Lui mi disse di mettermi d’accordo direttamente con Ferrari, che, imbeccato dai vertici Fiat, rispose di no. Lo riferii all’Avvocato, che rimase piuttosto seccato: aggiunsi che, a questo punto, mi sarei arrangiato in altro modo, dato che avevo già preso contatti con la Citroen (in quegli anni in partnership con Fiat n.d.r) per avere il motore Merak della Maserati (di proprietà Citroen n.d.r.). Quando lo seppe, Ferrari, che nel frattempo aveva parlato con l’Avvocato, disse che mi avrebbe dato tutti i motori che volevo” .
Sotto la gestione Gobbato la Lancia vinse 3 volte il rally di Montecarlo (1972-­1975­-1976) e la sua creatura continuò ancora l’anno dopo nel 1977 e poi nel 1979. I Mondiali rally complessivi invece furono 4 (1972­-1974­-1975­-1976). Mai doma la bete à gagner !
Ecco, in sintesi, come nacque la Stratos, quella che per noi rappresenta il testamento tecnico dell’Ing. Pier Ugo Gobbato, terzo “asso” di questo ipotetico poker. Sia chiaro, non vogliamo disconoscere l’importanza avuta nella produzione di serie dalla prolifica e longeva famiglia “Beta”, importanza anche maggiore ai fini di un bilancio aziendale. Tuttavia ci sentiamo di ricordare la Stratos non solo perchè meno legata all’aspetto razionale delle scelte tecnico­politiche di un manager, ma perchè, nonostante sia stata una scelta di “cuore”, ha raggiunto lo scopo: risollevare l’immagine di marca senza pesare negativamente sul bilancio d’impresa .

Vittorio Ghidella (1931-2011).

“E’ l’auto che produce finanza e non la finanza che produce auto”. Piu o meno testualmente è questa, secondo noi, una delle frasi più belle attribuite a Vittorio Ghidella. Da sola tratteggia la linea di pensiero seguita per tutto il suo mandato, durato 10 anni, in cui ha assunto la carica di Amministratore Delegato di Fiat Auto S.p.a, dal 1979 al 1988. Linea di pensiero e di agire che alla fine gli è costata la perdita di ogni carica all’interno del gruppo Fiat fino alle sue “dimissioni” forzate nel 1988. Ghidella ha sempre privilegiato l’automobile tanto da essere definito “autocentrico” dai suoi detrattori. Si dice che in vacanza aprisse i cofani delle macchine, e che sfottesse gli amici incantati dalle Volvo e Saab: “Noi adesso le faremo meglio, anche quelle grandi” diceva. E fece la Thema che in pochi anni assestò un durissimo colpo alla penetrazione estera sul mercato nazionale in quella fascia E. D’altronde Ghidella era un ingegnere amante delle auto, tanto da non lesinare il collaudo personale dei veicoli in procinto di essere immessi in sul mercato.
Anche lui, come Marchionne, ha avuto una parte della formazione professionale negli USA ma in campo metalmeccanico (Fiat ­ Allis) anzichè in quello giuridico finanziario. Nel 1979 Gianni Agnelli lo sceglie per ricoprire il ruolo di Amministratore Delegato della nuova entità: Fiat Auto S.p.a.che inglobava al suo interno i vari marchi del Gruppo pur con una loro specifica, ed ancora parzialmente autonoma, capacità progettuale. Nel 1979 viene soppressa la figura giuridica “Lancia & C. Fabbrica Automobili S.p.a” che confluisce all’interno della Fiat Auto S.p.a come “divisione Lancia”. Gli Uffici tecnici di progettazione Lancia tuttavia, restano ancora dislocati all’interno del comprensorio di Borgo San Paolo, ancora parzialmente operativo.
Restando al 1979: in quell’anno esce la Delta che, ancorchè non ideata durante la sua amministrazione ha trovato nella “sua“ gestione, l’humusadattoperarrivareadessereciò che poi è stata. L’abito da Gran Turismo facilmente indossato con la versione HF Turbo del 1983 nonchè l’inizio degli studi sulle 4 ruote motrici, apre l’ultimo, più lungo e fulgido capitolo che durerà un’altro decennio, tirando la volata alle versioni più pacate esattamente come avvenne con la Fulvia 1.6 HF dopo la vittoria del 1972 al Rally monegasco.
Ghidella è stato un’antesigano della “piattaforma comune”, concetto oggi ampiamente collaudato dal Gruppo VAG e l’esempio più fulgido è stato il progetto Tipo 4, sfociato nel 1984 con la Thema (progetto Y9 in Lancia) e poi Fiat Croma, Saab 9000 ed Alfa 164. Partendo da alcune macro­componenti in comune (pianale e giroporta) dimostrò la fattibilità del prodotto senza perdere in identità di marca e nel contempo abbassando i costi.
Durante la sua gestione, Ghidella mantiene alto il nome “Lancia” nelle corse, con una intelligente visione da navigato esperto di marketing che lo accomuna ai 3 “assi” che lo hanno preceduto, inconsapevoli apripista che hanno spianato la strada rimuovendo ostacoli di non poco conto (il brand ha già un’immagine consolidata). In virtù del ruolo ha il potere di garantire costanti risorse al Reparto Corse (oramai unificato sotto un unico brand) e sfruttando al meglio le sinergie di gruppo derivanti dal know­how di Lancia ed Abarth. Inorgoglisce l’Italia intera, impegna la Fiat Auto S.p.a. con il vessilo Lancia in una travolgente galoppata sui campi di gara nelle massime categorie: 2 Mondiali assoluti nel campionato Endurance Gr. 5 con la Beta Montecarlo Turbo (1980­-1981) e ben 3 Mondiali Rally (1983-­1987­-1988). La Delta continua poi nel 1989­-1990-­1991-­1992 portando la Lancia in vetta all’Albo d’oro del WRC, ancora imbattuta nonostante sia uscita dalle scene 23 anni fa.
A dire il vero, provocatoriamente, ci metteremmo volentieri anche il 4 Mondiale con la Delta S4 (1986, rally di Montecarlo compreso) se il titolo non le fosse stato scippato dalla Peugeot dopo il ricalcolo dei punti a seguito dell’annullamento (da parte della FIA) dei risultati della prova di Sanremo: validissima per Lancia ma non per Peugeot e le sue furbe “minigonne” cammuffate. Per non scontentare Peugeot, che minacciava un ricorso per l’intenzione di eliminare i Gruppi B senza aver dato il preavviso di due anni,…si annullò l’intera gara. Infine, non và dimenticata l’esperienza nel Gr. 6 (poi Gruppo C) con l’esperimento LC1 ed LC2 teso a dimostrare che Fiat Auto S.p.a, per mezzo del braccio “armato” di Lancia, c’era e voleva dire la sua.
Tutta questa sovraesposizione non poteva che portare buoni frutti anche sul versante produttivo, peraltro anch’esso frutto di ingenti e paralleli investimenti. Nell’era Ghidella il gruppo Fiat Auto s.p.a. diviene il 1° Gruppo Europeo ed il 5° Gruppo Mondiale, il tutto senza alcun apparentamento ma solo con stabilimenti, know­how, uffici di progettazione, reparti esperienza, reparti corse e piste di prova italiane. Esce la Uno, seguita dal motore FIRE, punti di riferimento per tutti. La penetrazione delle auto nazionali nel 1985 si attesta sul 60 % a fronte del risicato 30 % attuale. In Italia la somma di Audi e Volkswagen vendute nel 1984 era l’80 % delle Lancia vendute nello stesso periodo e Fiat Auto vendeva esattamente 10 volte la Volkswagen. Insomma l’orgoglio italiano nel mondo.
A seguito dell’acquisizione di Alfa Romeo, il 1° Gennaio 1987 nasce una nuova entità societaria di cui Ghidella ricopre la carica di Presidente: la Alfa-­Lancia Industriale S.p.a. E’ questo il preludio del “polo del lusso” che l’ingegnere aveva provvidenzialmente identificato per far girare al massimo i due brand. Venivano conferiti nella società sia i dipendenti (34.000 Alfa e 9000 Lancia) che gli stabilimenti (Arese e Pomigliano per Alfa e Chivasso,Torino, Verrone e Desio per Lancia). Si cercava di costruire una bella realtà italiana sufficientemente solida da impensierire le corazzate tedesche già provate dalla campagna aggressiva del Progetto Tipo 4 congiunto.
Ed eccoci qua. Per ricordare l’ultimo ingegnere del nostro poker, abbiamo scelto la Thema ma scartato la Delta. Per rispettare il filo conduttore del nostro ragionamento che vede ciascun “asso” rappresentato dal modello più tipico nato sotto la sua gestione, e la Thema è nata concettualmente intorno al 1981 sviluppandosi pertanto interamente sotto la gestione Ghidella. A margine si ricorda che i primi studi della Delta by Giugiaro datano infatti 1977, anche se preceduti nel 1974 da una proposta di stile dello studio Castagnero che non piacque al management. L’approvazione della configurazione conosciuta è perciò avvenuto sotto la gestione del Dott. Gian Mario Rossignolo, Amministratore Delegato e Direttore Generale dal 1977 al 1979 (salito alla ribalta delle cronache recenti per il crack De Tomaso).
Questo era Ghidella, la corazzata Thema, la concezione ancora embrionale dei pianali modulari e la sua forte convinzione che l’accordo con Ford andasse fatto. Ma Romiti ed il suo desiderio di diversificare il core business puntando sulla finanza, era dietro l’angolo inesorabile e con lui le decisioni dell’Avvocato: Ghidella fu costretto a mollare nel 1988 e come gli altri nostri assi, non si interessò mai più di automobili.
La situazione attuale, non solo di Lancia ma dell’intera ex Fiat Auto, è una diretta conseguenza di quelle scelte.

Per approfondire:
l'Ing. SERGIO CAMUFFO
Il papà della Delta

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

1 ­ Storia della Lancia, Impresa, Tecnologia e Mercati. 1906­1969­ Prof. Franco Amatori
2 ­ Italcementi 1a parte­Università di Bologna
3 ­ Pier Ugo ed Ugo Gobbato ­ Due vite per l’Automobile ­ Monografia AISA n° 86 a cura di Aldo Zana
4 ­ Pesenti Una dinastia tutta affari e Chiesa ­ Archivio la Repubblica.it­ 26.02.1993
5 ­ Alfa­Lancia Industriale S.p.a, pronta al debutto ­ Archivio la Repubblica.it­ 30.12.1986
6 ­ Vittorio Ghidella, l’uomo d’oro della Fiat ­ Panoramauto.it ­ 18.07.2013
7 ­ Giuliana Borghesi in Ghidella: Così convinsi mio marito a dire di sì agli Agnelli ­ Corriere d.Sera ­ 20.03.2011

8 Commenti. Nuovo commento

  • Antonio Colucci
    6 Settembre 2015 0:34

    Complimenti bellissima analisi

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  • Mi chiedo perche questa storia eccezzionale sia finita nel dimenticatoio…

    Rispondi
  • Roberto Maimone
    16 Settembre 2016 10:01

    Servono secondo me nuove energie giovani

    Rispondi
  • Roberto Maimone 339 7200201
    16 Settembre 2016 10:17

    Buono ma non ottimo, ci stiamo solo piangendo adosso, ma di prospettive future non appare alcun segno.Quando si inizia una nuova impresa, si parte prima con il cuore poi sinizia con la mente e la ragione secondo me si deve avere il coraggio di iniziare, ho ripreso ha sognare ma a Volpago paese e natale dell’ing Gobbato ne ho trovato altri 100 Lancisti Veri insieme a Sandro Munari l’eta’ non conta e’ lo spirito che conta. Quando ci ho parlato si controllava ma la mente era lucida e la memoria cristallina

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    • VOGLIO CHE LA STORIA Lancia CONTINUI Se ogni Italiano compra con un Euro ad azione della Nuova fabbrica Lancia allora diventa la fabbrica degli automobilisti Italiani una REALTA’

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  • VOGLIO CHE LA STORIA Lancia CONTINUI Se ogni Italiano compra con un Euro ad azione della Nuova fabbrica Lancia allora diventa la fabbrica degli automobilisti Italiani una REALTA’

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