Ardea. Una storia d’amore

Si può raccontare una vita attraverso le emozioni offerte dal rapporto con la propria auto? In queso racconto l’ex proprietario di Lancia Ardea attraverso le parole, ripercorre una storia che si intreccia a quella di uno dei modelli più amati del marchio torinese.

di Marco Altimani
La storia che vi voglio raccontare parla di una signora ormai attempata che spero in ottima salute e che ha condiviso con me alcuni anni della sua vita, riservandomi delle emozioni incredibili. La signora è nata nel 1951, lo so non si dovrebbe dire l’età di una signora, chiedo scusa per questo immediatamente, ma posso dire invece che è stata sin dalla sua giovinezza, elegante, ricercata, insomma una signora borghese e d’élite. Quando vide la luce del suo Piemonte le era appena morto il padre, il signor Vincenzo, che lei non ha mai conosciuto né lui ha mai potuto vedere il capolavoro che aveva generato. In Italia, dopo lo choc bellico, si stava cominciando a ricostruire il ricostruibile e a spazzar via tutto ciò che era ormai solo macerie, nelle vie delle città, dei piccoli paesi e dentro tutti i cuori e le menti che avevano vissuto un calvario durato cinque lunghissimi anni e ciò era certamente più difficile. Lei sembrava non aver subito traumi o aver perso la sua raffinatezza e il suo stile, anche perché io la vidi per la prima volta passare davanti alla mia finestra, avevo poco più di vent’anni, in un bellissimo abito blu notte. Da quel momento cominciai a farle una corte assidua, ma sempre discreta nei primi tempi e successivamente sempre più ravvicinata affinché si accorgesse di me. Un giorno, rivedendola passare sempre davanti alla mia finestra, la seguii e cominciai a parlarle senza imbarazzi, anche perché accettò la mia presenza senza fare obiezioni di sorta, quasi come se mi avesse già individuato nei giorni precedenti. Quando ci parlammo la prima volta avevo la voglia di accarezzarla o di stringerle la mano nella mia, ma aspettai, non volevo rovinare tutto. Il mio obiettivo era quello che diventasse parte della mia vita, ma la cosa avrebbe dovuto essere da lei percepita come un desiderio reciproco da cui entrambi non saremmo più potuti tornare indietro. Nessuno avrebbe potuto dividerci. E fu proprio così.. da quel momento diventammo inseparabili. Noi nati tra gli anni quaranta e cinquanta, a quel tempo negli anni settanta eravamo consapevoli di provare l’uno per l’altra un qualcosa di speciale e cominciammo a frequentarci sul serio. Non che questo legame fosse un fidanzamento, parola che usavano i nostri genitori e a noi pareva già fuori moda, anche se oggi è ritornata in auge per indicare un legame più solido di quello occasionale da discoteca. In ogni caso, ora, io potevo vederla, toccarla e godere del suo calore, dei suoi scatti di giovinezza, delle passeggiate brevi o lunghe che fossero, ma insieme, fermandoci dove ci sembrava di poterci godere, insieme, un bel panorama o sotto una pioggia battente starcene vicini come in uno splendido valzer. Si sa a vent ‘anni tutto sembra infinito e immortale ed è giusto che sia così, poi la vita ci fa crescere e molte nostre certezze si trasformano in illusioni dopo essere stati dei bellissimi sogni. Lei era davvero speciale, non era come le altre.. Le altre vestivano seguendo la moda del momento, lei invece sempre classica, forse un po’ fuori moda, tanto che mi era sembrato che pochi coetanei le si avvicinassero senza provare un po’ di imbarazzo, Forse ero io che vedevo in lei qualcosa di intramontabile e bellissimo, chissà, ma lasciatemi continuare il mio discorso. Aveva due occhi molto grandi, un po’ sporgenti, un naso volitivo, un viso importante insomma, la sua voce sapeva essere dolce e vellutata ma anche dai toni gioiosi, quando le capitava di percorrere con me itinerari pieni di sole, circondati dai colori bellissimi della primavera o dell’autunno. Ero presissimo da lei e volevo che tutto ciò durasse un’eternità…. Eternità, una parola di otto lettere che però non ha fine, e l’impiccio sta proprio qui. Si pensa che tutto duri all’infinito appunto, ma non è così. Tra me e lei, in realtà continuava tutto nel migliore dei modi, lei… mi accorgo solo ora di non avervi rivelato il suo nome. Aveva, in verità, un nome, ma poco comune. Chissà chi in Italia ha avuto il privilegio di chiamarsi come lei, a parte una città del Lazio: il suo nome è Ardea, con l’accento sulla prima a, e il suo cognome lo svelo con orgoglio, perché so che fa piacere a lei e soprattutto a suo padre che lei non ha mai nemmeno visto: Lancia, sì proprio così Ardea Lancia, una bellissima Ardea Lancia dal colore blu, cinque marce, guida a destra, un sogno, una favola e poco costosa e solo 900 di cilindrata. Non vi sto prendendo in giro cari amici, è una vera confessione questa: il mio primo grande amore della mia vita è stata lei: Ardea! E chi può vantare di essersi innamorato in Italia di Ardea? Probabilmente ci sarà e la sua storia sarà tanto bella quanto la mia, perché Ardea è sinonimo di stile, bellezza, eleganza e ha un cognome conosciuto in tutto il mondo: Lancia. La mia Ardea era sempre con me, almeno quasi sempre, perché saltuariamente andava dal suo medico personale, un signore anziano che aveva una piccola officina in via Crocefisso a Milano dove, dopo brevi sedute ritornava sempre più scattante e smagliante di prima. Insieme abbiamo fatto dei bei viaggi, con molta prudenza perché Ardea, 5 marce, 1951, aveva la guida a destra e quindi nei sorpassi dovevo metterci tutta la mia grazia e concentrazione. I suoi sedili grigi e morbidi erano assai confortevoli e le sue portiere ah! le sue portiere! si aprivano in un modo strano e quando erano aperte, come potevi rifiutare di entrarvici…Si chiudevano emettendo un rumore impercettibile tanto era soft. Non mi fate pensare a quei tempi da ventenne… ma si sa, lo abbiamo detto prima, un giorno o l’altro i sogni finiscono, si deve ritornare con i piedi per terra e l’amore per Ardea da parte mia si affievolì un po’, tanto che mi innamorai di un’altra, più moderna, più maneggevole. Evitate per favore di giudicarmi, perché mai dire mai … e poi tutti possiamo sbagliare. Ma non la lasciai mai, non la lasciai mai, Ardea mi seguiva ovunque io andassi. Nord, sud, est, ovest della Penisola, un posticino al coperto per lei c’era sempre, perché lei, auto di classe, il mio primo grande amore, l’auto oggetto della mia ostinazione di neoautomobilista, meritava attenzione e cura, sempre, fin che morte non ci avesse separato, ma questo mi pare esagerato, insomma il più a lungo possible… L’ultimo viaggio importante l’ha vista impegnata attraverso Umbria, Lazio, Campania, Puglia Abruzzo e di nuovo Marche dove risiedevamo e dove godeva di un comodo garage sotto casa, mai freddo d’inverno e mai troppo caldo d’estate e poi viaggi e sempre il punto di arrivo di quei lunghi itinerari. Si comportò sempre benissimo, come la mia Ardea degli anni settanta, ma ora erano gli anni novanta e le mie possibilità di riservarle un trattamento privilegiato si affievolivano sempre più. In famiglia, ora era patrimonio familiare, desideravamo che la sua carriera di regina delle strade terminasse con un viaggio memorabile e quindi come dicevo prima, Perugia, Roma, Napoli, Bari con una puntatina al Gargano e poi L’Aquila e di nuovo le Marche dove l’aspettava il meritato riposo. Sempre bellissima, nel suo vestito blu, sempre con me. “Resta con me”, sembrava mi dicesse.. Sempre con me, fino a quando… fino a quando le nostre condizioni di vita fossero rimaste invariate, con la possibilità di trovarle sempre in qualsiasi parte di’Italia un posto al sicuro dalle intemperie, perché un’auto di 35 anni, nata nel ’51, soffre molto il caldo e il freddo, non ama la pioggia perché potrebbe creare problemi sia all’esterno sia al suo interno, insomma condizioni a lei congeniali con l’assoluta priorità di poterla mantenere sempre efficiente e brillante. Queste le condizioni che le avevo da sempre garantite fino a quando all’inizio degli anni novanta, un imprevisto cambiamento di abitazione, che non prevedeva un garage per Ardea, fece precipitare tutto. E lei sembrava che mi dicesse… “Non mi lasciare sola..” E invece dovetti prendere una stoica decisione, lasciarla e affidarla a qualcuno che si prendesse cura di lei, ma chi? Non mi fidavo di nessuno, non c’era chi potesse risolvere il mio problema, Ardea era ancora in condizioni molto buone, ma sapevo che me l’avrebbero declassata per fare il grande affare. Io non volevo ‘venderla’ a qualcuno, ma ‘affidarla’ a qualcuno di fiducia, che avesse un posto adatto per custodirla e soprattutto badasse anche ai suoi primi acciacchi dovuti all’età… E mentre passavo notti insonni per la mia incapacità di trovare una soluzione, dalla strada sottostante dove alle intemperie Ardea attendeva il suo destino, mi sembrava di sentirla piangere, quasi dicesse.. “Tutt’al più lasciami qui affinché io almeno ti veda…” Il rapporto tra me e Ardea era cambiato, io uscivo di casa e non avevo il coraggio di guardarla, quasi la stessi tradendo con un’auto più giovane e più disponibile e con la carrozzeria, come si dice, indifferente a qualsiasi intemperie. Ma non era così, lei continuava a essere molto importante per me, non la consideravo il giocattolo di quando ero un ragazzotto, ora ero un adulto con famiglia e a lei si erano affezionati anche coloro che vivevano con me. Un giorno mi avvicinai a lei e l’accarezzai sul tettuccio blu e sul fanalone bagnato dalla pioggia, quasi le dicessi: “Vedrai, Ardea, vedrai che tutto si risolve..” E le cose cambiarono eccome, e come accade sempre o quasi sempre per puro caso. Il bidello di mio fratello, quando lui a Milano frequentava la scuola media, si era trasferito nella nostra stessa città e, guarda caso, era un collezionista di auto d’epoca e, incontrandolo su una bellissima Fulvia, cuginetta di Ardea perché sempre Lancia era il suo cognome, mi congratulai con lui e così iniziammo a parlare di Fulvia di lui e alla fine di Ardea. E lui ebbe una bellissima reazione e capii che era la persona che mi poteva aiutare: mi disse: voglio vederla, eppoi, mi chiese se avessi un posto in cui conservarla senza provocarle dei danni. E così seppe la verità delle verità e mi fece una proposta sensazionale di cui ancora oggi lo ringrazio: si offrì per custodirmela nel capannone dove teneva e curava altre auto di pregio. Accettai subito e ci accordammo su un punto preciso: tra di noi non ci sarebbe stato mai uno scambio di quattrini, ma solo un cambio di tutore, con il permesso di poterla vedere, sempre, quando l’avessi desiderato. Andai da Ardea e le dissi la verità, ma una verità che guardava verso il futuro per entrambi. “Ti lascerò” le dissi, “ma…” E così la storia incredibile tra me e Ardea Lancia ebbe una svolta, una svolta che speravo fosse la più dolce possibile e le cose si erano messe proprio in questa direzione. Qualcuno era venuto in mio aiuto, avrebbe avuto cura di lei, quel ‘qualcosa’ che non avrei potuto più garantirle nei giorni a venire. Eravamo convinti, entrambi, che la nostra relazione, se si fosse interrotta, avrebbe dovuto portare con sé i segni indelebili di ciò che avevamo passato insieme, i panorami che avevamo visto, gli imprevisti sempre superati, qualche bizza da entrambe le parti, ma un affetto che non si sarebbe mai deteriorato, anzi avrebbe fatto parte dei ricordi di ciascuno, quei ricordi così netti nella nostra mente che è praticamente impossibile che svaniscano con l’avanzare del tempo. Il nostro ‘mai dire mai’ consisteva appunto nell affrontare una realtà, una volta considerata impossibile, oggi incombente e che insieme abbiamo dovuto affrontare, perché poi, si sa, domani è un altro giorno.

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