Panno Lancia, quella classe dimenticata.

Se Lancia sino a qualche anno fa era catalogata da Fiat come Brand premium di lusso, lo si deve sopratutto alla filosofia che Vincenzo Lancia diede al brand torinese sin dalla sua nascita: una vettura Lancia doveva avere un aspetto signorile; le attenzioni che si davano alla qualità della vettura (intesa come qualità di assemblaggio e livello di affidabilità) dovevano essere di primaria importanza; “In fondo con le automobili non c’è che una cosa che conti: la qualità” diceva Censin. Il fondatore pensava poi che il partecipare a competizioni automobilistiche non doveva essere necessariamente una priorità fondamentale nel mandare avanti un’azienda come la sua.

Altri due elementi fondamentali in una Lancia dovevano essere le raffinatezze ingegneristiche e la scelta del materiali.

Dall’acquisizione della Lancia da parte di Fiat, si è avuta però una “snaturalizzazione”nella filosofia del Brand torinese (escludendo l’elemento delle raffinatezze ingegneristiche, almeno fino alla fine degli anni 90). I numerosi casi di ruggine e di precaria affidabilità presenti nelle Lancia esportate in Inghilterra (ma non solo) danneggiarono l’illustre immagine che il Brand ottenne negli anni addietro. Cito infatti una vignetta degli inizi anni 90 che ritraeva un meccanico seduto fuori dalla sua officina dall’aria affranta, dicendo tra sé e sé: “Buon lavoro per me, se non fossero tutte Lancia!”

Anche nell’impiego dei materiali si fece un passo indietro, ed è qui che voglio soffermarmi. Il Panno Lancia, ad esempio, fu abbandonato a favore dell’Alcantara.

Quest’ultimo materiale di origini giapponesi, non ne eguagliava la qualità e l’esclusività del primo. Restato un’unicità di Lancia per quasi 10 anni (dal 1983 al 1992) e, tutt’ora in uso, non possiede un requisito fondamentale per essere reputato un materiale veramente di lusso: l’assenza di artigianalità.

Il Panno Lancia era infatti esattamente l’opposto dell’Alcantara: nato negli anni 20 per volere di Vincenzo Lancia, questa lana veniva prodotta inizialmente nel Nord dell’Inghilterra in alcuni esclusivi stabilimenti di tessitura, per poi più tardi essere presente anche in alcune filature del Piemonte.

 La particolarità del “Panno Lancia” era il suo costo elevato, dato dalla scelta di lane di primissima qualità, scelte dall’azienda torinese. Queste coniugavano la resistenza allo sfregamento con la morbidezza e la “vivibilità”, in termini di capacità di traspirazione.

Disponibile inizialmente in quattro colorazioni (tra cui un sofisticato azzurrino), verranno poi ridotte in due colori: il classico grigio e un beige tenue. Il panno Lancia verrà poi sellato nei punti di giunzione con sottili, ma robusti, “cannelli” in colore più scuro.

Fiat non riuscì mai più a ritrovare le lane giuste per riesumare questa pregiata selleria. Propose un rivestimento di lana simile con la Thesis, ma non non eguagliandone mai la raffinatezza artigianale e qualitativa del Panno Lancia.

Se Fiat voleva veramente perseguire la via del lusso con Lancia e lasciare la sportività a Maserati, Abarth e Alfa Romeo, avrebbe dovuto stare più attenta alle vere caratteristiche delle Lancia che furono: impeccabilità nell’assemblaggio, che avrebbe precluso un tipo di produzione più artigianale, dove le macchine (dell’assemblaggio) avrebbero dovuto avere un ruolo minore all’interno degli stabilimenti; una maggiore affidabilità della vettura; un servizio di post-vendita impeccabile; l’esclusività dei materiali e dei motori all’avanguardia (uso dell’ibrido ad esempio). Elementi che forse avrebbero richiesto investimenti maggiori rispetto a quelli previsti per un Brand sportivo come Alfa Romeo.

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